Buone notizie in arrivo per la fibrillazione atriale
La fibrillazione atriale (FA) è la patologia cardiaca più comune; si stima che colpisca più di 20 milioni di persone in tutto il mondo, in Italia ne soffre il 2,5% delle persone con più di 65 anni (dati dell’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare 1998-2002). Le persone affette da FA lamentano generalmente un notevole peggioramento della qualità di vita e subiscono un maggior numero di ricoveri ospedalieri, ictus cerebri ed episodi di scompenso cardiaco, con elevata mortalità. E’ comprensibile quindi che una notevole mole di ricerca medica sia focalizzata sul trattamento della FA. E da queste ricerche sono scaturite di recente alcune incoraggianti indicazioni.
Il Dronedarone. Per prevenire gli episodi di FA vengono utilizzati numerosi farmaci antiaritmici. Tuttavia questi medicinali non sono in grado di assicurare che l’aritmia non si ripeta e, d’altro canto, provocano numerosi effetti collaterali, anche severi. Il farmaco antiaritmico più efficace è senza dubbio l’amiodarone, che è in grado di mantenere i pazienti liberi da nuovi episodi di aritmia almeno nel 60-70% dei casi per un periodo soddisfacentemente prolungato da uno a due anni. Ma si è detto che l’uso dell’amiodarone è limitato da un notevole carico di effetti collaterali che colpiscono gli occhi, la tiroide, i polmoni, il fegato, la cute ed il sistema nervoso centrale.
Recentemente è stato introdotto nella pratica clinica un farmaco con struttura molecolare simile all’amiodarone, il dronedarone che è invece quasi del tutto privo degli effetti collaterali appena citati, e con quasi uguale efficacia antiaritmica. Per giunta – ed è elemento manifestamente importante – il dronedarone, a differenza di tutti gli altri antiaritmici attualmente disponibili, sembra ridurre la mortalità nei pazienti trattati. Esso appare, quindi, una alternativa molto promettente ai farmaci antiaritmici attualmente disponibili. Il dronedarone non è però ancora disponibile in Italia: sono in corso le procedure presso il Ministero della Salute per l’introduzione nella comune pratica clinica nel nostro paese.
Il Dabigatran. La conseguenza più temibile della fibrillazione atriale è la possibilità di trombo-embolie, in particolare cerebrali, con conseguenze devastanti per i pazienti, le loro famiglie e tutta la società. Si calcola che tali eventi si verifichino ogni anno nel 6% dei pazienti affetti da FA. Per ridurre il rischio di tromboembolie, si utilizzano farmaci anticoagulanti (warfarin e acecumarolo), che hanno tuttavia effetti diversi e non completamente prevedibili nei diversi pazienti. Le oscillazioni dell’effetto clinico anticoagulante devono essere periodicamente controllate (ogni settimana all’inizio, poi una volta al mese) con un esame del sangue comunemente noto come INR (International Normalised Ratio of anticoagulation). Per questo motivo, la terapia anticoagulante non è generalmente bene accettata da numerosi pazienti. Il dabigatran è un nuovo farmaco anticoagulante con efficacia stabile e prevedibile in tutti i soggetti trattati. Esso viene somministrato a dose fissa e non necessita dei controlli dell’INR. Molto recentemente ne è stata valutata l’efficacia per la prevenzione dei fenomeni trombo-embolici in pazienti con FA, in uno studio internazionale condotto su più di 18.000 pazienti in 951 centri in 44 nazioni, per un periodo medio di osservazione di due anni.
Gli autori degli studi riferiscono che nei pazienti trattati con il solito schema anticoagulante con warfarin si sono verificati eventi embolici nell’1,69% dei casi, con un tasso di mortalità di 4,13%; nel gruppo trattato con Dabigatran solo nell’1,53%, con tasso di mortalità di 3,75%. Le caratteristiche del Dabigatran fanno prevedere che presto sostituirà i farmaci anticoagulanti convenzionali, migliorando di molto l’efficacia e la sicurezza del trattamento anticoagulante orale cronico e la qualità di vita dei pazienti con FA. Anche il Dabigatran non è ancora disponibile in Italia per l’uso clinico in FA , ma lo sarà a breve.
L’ablazione trans-catetere. Già da molti anni è noto che alcune procedure di cardiochirurgia associate alla sostituzione della valvola mitrale possono prevenire nel tempo nuovi episodi di FA, soprattutto perché creano nell’atrio sinistro diverse linee di cicatrice che bloccano gli impulsi elettrici. Sulla base di queste osservazioni è stato proposto, qualche anno fa, di riprodurre simili linee di cicatrice attraverso cateteri introdotti nelle cavità cardiache, senza la necessità di aprire il torace né tantomeno il cuore (quindi senza la necessità di anestesia generale e di circolazione extracorporea). Tali procedure, dette di ablazione trans-catetere, pur apparse subito promettenti, erano inizialmente gravate da bassi tassi di successo clinico ed elevata incidenza di complicanze, anche gravi, oltre che da prolungati tempi di procedura (molte ore) e di esposizione radiologica. La tenacia e l’inventiva di molti medici e ricercatori, anche italiani, hanno consentito di sviluppare materiali e tecniche nuove ed efficaci, tanto da poter proporre l’ablazione trans-catetere non più come estrema risorsa ma come procedura anche di prima scelta in alcuni particolari gruppi di pazienti con FA, soprattutto quelli resistenti ai trattamenti antiaritmici convenzionali, molto sintomatici o con scompenso cardiaco avanzato.
Nel dicembre scorso è stata riportata un’analisi sulle procedure di ablazione per FA eseguite in 521 centri di 24 nazioni in quattro continenti, su più di 16mila pazienti (piace segnalare che il primo autore della relazione è italiano). Ebbene, in un periodo di almeno 18 mesi, il 70% dei soggetti trattati è rimasto indenne da aritmie senza la necessità di assumere farmaci antiaritmici, ed un ulteriore 10% ha potuto prevenire nuove crisi con l’associazione di un farmaco antiaritmico. Tuttavia, in circa il 5% dei pazienti trattati si sono verificate complicanze, più o meno rilevanti. E’ necessario segnalare che diverse relazioni cliniche mostrano come, in periodi di osservazione più lunghi, soprattutto quando siano presenti altre patologie cardiache, la probabilità di recidive aritmiche salga notevolmente, riducendo in qualche modo l’entusiasmo per le procedure di ablazione nella FA; ulteriori studi clinici porteranno nuova luce anche su questi aspetti.
Conclusioni. La fibrillazione atriale, oltre che essere l’aritmia più diffusa, resta quella di più difficile trattamento: espone ai maggior rischi di insuccesso terapeutico, ciò che è più frustrante non solo per i pazienti ma anche per i medici che li hanno in cura. Proprio per questo motivo, l’impegno dei medici e dei ricercatori per l’ottimizzazione e la messa a punto di alternative di trattamento è costante, massiccio e particolarmente gravoso. Le recenti segnalazioni di successi ottenuti con nuove terapie risultano, quindi, particolarmente bene accette ai pazienti ed ai medici che lottano giorno dopo giorno contro queste aritmie. Se son rose, fioriranno (e lo speriamo tutti).
Francesco Biscione – Dirigente medico Uoc Cardiologia, S. Spirito