Il freddo come terapia per l’arresto cardiaco
Un pò come il calciatore che riprende a giocare dopo che il massaggiatore ha usato la “bomboletta del ghiaccio”. L’ipotermia terapeutica usata quando, ripristinato il battito, non si riacquista coscienza.
La crioterapia, ossia la “cura con il freddo”, ha origini antichissime: le proprietà terapeutiche del freddo sono note sin dai tempi più remoti. Il freddo è da secoli usato come strumento per alleviare febbre, contusioni, traumi; con il passare degli anni ricercatori e medici hanno affinato sempre più la crioterapia, sino a renderla una terapia moderna a tutti gli effetti.
L’utilizzo del ghiaccio nelle contusioni e nei traumi muscolo-scheletrici aiuta a diminuire la percezione del dolore grazie all’effetto analgesico (anche se temporaneo) del freddo sulla zona trattata. Inoltre il ghiaccio è utilizzato per alleviare il gonfiore: l’effetto antiedemigeno è correlato alla vasocostrizione indotta che impedisce lo stravaso di sangue nei tessuti. I muscoli non riescono a rimanere contratti a temperature basse: anche in questo caso il ghiaccio è utilizzato per sciogliere i muscoli, perché questi, quando sono posti a contatto con il freddo, si rilassano (azione antispastica e miorilassante).
Quante volte, dopo uno scontro di gioco abbiamo visto un calciatore rotolarsi in terra in preda ai più atroci dolori, e temuto che la sostituzione fosse ormai inevitabile? Però, dopo il magico intervento del massaggiatore con la “bomboletta del ghiaccio” abbiamo assistito al miracolo: il nostro campione, grazie al ghiaccio, aveva ripreso a correre come prima! La crioterapia, che in questo caso è chiamata “ipotermia terapeutica” è da qualche anno usata anche in pazienti che, subìta una rianimazione dopo arresto cardiaco, non riacquistano prontamente coscienza una volta che il loro battito cardiaco è stato ripristinato.
L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nel mondo. Solo il 7% dei pazienti colpiti sopravvive e spesso subisce danni cerebrali irreversibili. Una ipotermia controllata (32-34° C), iniziata precocemente e mantenuta per 12-24 ore si è affermata come strategia efficace nel recupero neurologico dei soggetti dopo arresto cardiaco. L’ipotermia rallenta il metabolismo del corpo, previene danni cerebrali sopprimendo reazioni chimiche nocive nel cervello e preservando le cellule e la funzione cognitiva; riduce infatti il fabbisogno di ossigeno cerebrale (6% per ogni grado di riduzione della temperatura) ed il rilascio di sostanze neurotossiche endogene come i radicali liberi.
Il trattamento va iniziato il più tempestivamente possibile; l’intervallo di tempo ottimale per iniziare la crioterapia è entro i 90-120 minuti e può essere esteso fino alle 4 ore dopo l’evento; un eccessivo ritardo nell’applicazione della procedura ne ridurrebbe in modo significativo i benefici a breve e a lungo termine. Si stima che prima dell’utilizzo dell’ipotermia solo un paziente su 10 avesse la possibilità di sopravvivere ad una ripresa del circolo dopo arresto cardiaco, studi recenti hanno dimostrato un incremento dal 10% al 45% di sopravvivenza con l’uso dell’ipotermia.
Ad oggi le metodologie per ottenere l’ipotermia terapeutica prevedono l’impiego di infusioni endovenose di grandi volumi di soluzione fisiologica raffreddata in combinazione con dispositivi applicati sulla superficie corporea oltre che di teli raffreddati. Vengono proposte come ulteriori soluzioni una serie di dispositivi che permettono il raffreddamento attraverso cuscinetti di grandi dimensioni che avvolgono il paziente, il tutto collegato ad un computer. Il sistema non è molto costoso se si pensa all’utilità, circa 30.000 euro l’apparecchio e 1.000 euro i cuscinetti (non riutilizzabili).