Si valutano metodi alternativi di prevenzione cardiovascolare
Le modificazioni dello stile di vita, il trattamento dei fattori di rischio e l’impiego di farmaci cardioprotettivi, quando indicati, rappresentano i cardini della prevenzione cardiovascolare: la ricerca scientifica ha dimostrato in modo indiscutibile che queste misure possono ridurre l’incidenza di eventi coronarici e la mortalità soprattutto nei pazienti con cardiopatia ischemica nota ed in quelli sani ma ad alto rischio. Tuttavia l’applicazione nella pratica clinica ha dato risultati spesso insoddisfacenti: studi internazionali hanno documentato sia una scarsa applicazione delle indicazioni delle linee guida da parte dei medici sia un insufficiente controllo dei fattori di rischio in una percentuale significativa dei pazienti.
Sebbene infatti gli obiettivi ottimali in termini di stile di vita (dieta, cessazione del fumo, attività fisica) e di controllo dei fattori di rischio ( livelli di pressione arteriosa, colesterolemia, glicemia, peso corporeo) sia ben definiti ed esistano esaurienti riferimenti per la pratica clinica (linee guida) la metodologia ottimale per il raggiungimento ed il mantenimento di un pieno controllo del rischio cardiovascolare è ancora oggetto di ricerca. Il semplice intervento di tipo informativo-educativo e l’approccio di tipo prescrittivo da parte del medico (indicazioni sullo stile di vita) non sono in grado di assicurare l’aderenza del paziente e il raggiungimento di risultati adeguati e persistenti.
Per questo motivo si stanno valutando metodi alternativi di applicazione dei principi di prevenzione cardiovascolare che tengano soprattutto conto della necessità di coinvolgere il paziente con attore principale del processo terapeutico e della complessità del processo di cambiamento delle abitudini di vita che richiede opportuni interventi di supporto e una maggiore continuità assistenziale. Una figura professionale importante per l’applicazione di questo approccio è rappresentata dall’infermiere specializzato che può svolgere un ruolo centrale grazie alle competenze sia in termini di cura che di relazione con i pazienti.
L’Euraction è uno studio internazionale ideato per valutare i risultati attenibili in termini di modificazioni dello stile di vita, correzione dei fattori di rischio e aderenza alla terapia farmacologica con un approccio multidisciplinare coordinato da infermieri professionali. Lo studio ha coinvolto sia pazienti con cardiopatia ischemica nota (prevenzione secondaria) sia pazienti sani ma ad alto rischio di eventi cardiovascolari (SCORE > 5% a 10 anni, prevenzione primaria). Entrambi i gruppi di pazienti trattati erano poi confrontati con due gruppi di controllo (rispettivamente uno di pazienti cardiopatici ed uno di pazienti ad alto rischio) seguiti secondo le modalità abituali. Per i primi il programma era attuato ambulatorialmente in ospedale da un team costituito, oltre che dal cardiologo, da un infermiere, un dietologo e un fisioterapista. I soggetti ad alto rischio erano invece seguiti dal medico curante e da un infermiere. Gli interventi coinvolgevano i familiari, in particolare il coniuge, e erano basati sui principi della teoria del cambiamento e dell’intervento motivazionale.
All’inizio sono stati valutati lo stile di vita abituale, i livelli di colesterolemia, pressione arteriosa e glicemia, il peso corporeo, le convinzioni sul concetto di salute e la percezione della condizione di malattia, le condizioni psicologiche (eventuale presenza di ansia o depressione sia dei pazienti che dei familiari). Nei fumatori il grado di dipendenza veniva valutato con il test di Fagerstrom; per l’alimentazione e l’attività fisica le abitudini prima dell’intervento erano valutate attraverso la compilazione di questionari e diari relativi al comportamento usuale. Successivamente per i pazienti (e i loro familiari) trattati in ospedale erano previsti sia incontri individuali che di gruppo e sessioni di esercizio fisico. Lo stesso programma era applicato per i soggetti ad alto rischio trattati presso il medico curante con l’esclusione delle sedute di esercizio fisico.
Per lo stile di vita gli obiettivi erano: a) l’astensione dal fumo (o la prevenzione delle ricadute per coloro che avevano smesso di fumare) convalidato dal dosaggio del monossido di carbonio nell’aria espirata; b) l’adozione di una dieta a basso contenuto di grassi (< 10%), ricca di pesce (> tre volte per settimana) e frutta (> 400 gr. al giorno); c) l’adozione di un programma di attività fisica regolare: 30 minuti per almeno quattro giorni per settimana. Per i fattori di rischio le finalità erano: a) il raggiungimento o mantenimento del peso corporeo ideale (indice di massa corporea < 25 Kg/m2) o, per i soggetti in sovrappeso, una riduzione del peso di almeno il 5% in un anno e il controllo dell’obesità centrale (circonferenza vita < 94 cm. negli uomini e < 80 cm. nelle donne); b) colesterolemia totale, colesterolo LDL, pressione arteriosa, emoglobina glicosilata nei limiti previsti dalle linee guida. Al controllo ad un anno, i risultati sono stati significativi per i cambiamenti dello stile di vita: i pazienti trattati (sia cardiopatici che ad alto rischio) avevano smesso di fumare, adottato una dieta adeguata e intrapreso un programma regolare di attività fisica in una percentuale significativamente superiore rispetto ai soggetti di controllo seguiti secondo le modalità abituali. Una risposta minore si è invece ottenuta nei familiari. Quanto al peso corporeo la riduzione media è stata maggiore nei pazienti sottoposti all’intervento che nei controlli ma l’obiettivo di un dimagrimento di almeno il 5% del peso iniziale e del raggiungimento del peso ideale non è stato raggiunto, non essendo state registrate differenze significative tra trattati e controlli. Lo stesso si è verificato per l’obesità centrale: maggiore riduzione della circonferenza vita nei pazienti ma senza significative differenze in termini di raggiungimento dei valori ottimali. Rispetto ai controlli (trattamento abituale) una proporzione superiore di pazienti cardiopatici ipertesi inseriti nel programma risultava adeguatamente trattata con valori di pressione entro i limiti ottimali, sebbene nel 34% la pressione non fosse sotto pieno controllo e nel 2% non fosse stata prescritta alcuna terapia. Anche nei pazienti ad alto rischio ipertesi si è riscontrato un miglior controllo nei pazienti sottoposti ad intervento, ma la percentuale di pazienti non trattati era del 21% (41% nei soggetti ad alti rischio seguiti con modalità abituali). La percentuale di pazienti cardiopatici con valori di colesterolo LDL ben controllati era dell’80% nei trattati rispetto al 72% dei pazienti di controllo. Anche nei soggetti ad alto rischio il trattamento della dislipidemia è risultato migliore in quelli inseriti nel programma. Per quanto concerne il diabete, nei soggetti trattati, sia cardiopatici che ad alto rischio, la tendenza è stata di un miglioramento dei risultati (valori inferiori emoglobina glicosilata) anche se le differenza rispetto ai controlli non era significativa. In definitiva i risultati dell’Euroaction documentano come un approccio strutturato, multidisciplinare, in cui un ruolo rilevante è svolto da infermieri professionali, è in grado di migliorare i risultati ottenibili nel campo della prevenzione sia secondaria che primaria. Questo ci sostiene nel proseguire nelle attività intraprese in questo campo dall’UOC di Cardiologia del Santo Spirito per i pazienti cardiopatici (ambulatorio infermieristico per la prevenzione secondaria) e per i pazienti ad alto rischio (studio Prevasc di cui si è qui parlato a lungo). Tuttavia è anche evidente che vi è un margine di ulteriore miglioramento dell’efficacia di questi programmi che stimola ad un maggiore impegno sia culturale che organizzativo.